Test di Screening per HIV
Noto anche come: Test per anticorpi anti HIV 1-2; Test combinato per anticorpi anti-HIV 1-2 e antigene p24; Test dell’AIDS; Sierologia HIV; Screening per AIDS; Test rapido per anticorpi anti HIV 1-2; Test salivare rapido per HIV 1-2; Self test per HIV 1-2; Test per proteina p24 antigene capsidico
Nome ufficiale: Test di screening per la ricerca del Virus dell’Immunodeficienza Umana 1-2 (HIV)
Ultima Revisione: 29.09.2020
Ultima Modifica: 02.09.2021

Revisori:
Paola Pauri - medico specialista in Igiene e Medicina Preventiva e in Microbiologia
Rita Caldarelli - biologo, specialista in Patologia Clinica
Federico Ridolfo - biologo, specialista in Biochimica Clinica
In Sintesi
Perché?
Per determinare se il soggetto è stato infettato dal virus dell’immunodeficienza umana (HIV); per evitare la trasmissione dell’infezione al neonato; per garantire la negatività delle donazioni di sangue o di organi; per effettuare campagne di screening in particolari gruppi a rischio.
Quando?
- Dopo un rapporto sessuale (vaginale, anale, orale) a rischio (senza preservativo o altra protezione, in seguito a rottura della protezione, dopo contatto prolungato con fluidi genitali, ecc)
- Soggetti risultati positivi per una Infezione Sessualmente Trasmessa, epatite B o C, tubercolosi confermata
- Soggetti che presentano sintomi sospetti di infezione acuta o cronica
- Soggetti con altri comportamenti a rischio (uso di aghi condivisi per iniettarsi droghe, soggetti negativi in coppie stabili discordanti, lavoratori nell’industria del sesso, ecc)
- Soggetti di età compresa tra i 13 e i 64 anni (almeno una volta nella vita)
- Prima e durante una gravidanza allo scopo di ridurre le probabilità di infezione pre e perinatale
- Operatori sanitari a rischio (periodicamente e dopo incidente lavorativo con contaminazione parenterale o mucosa)
- Potenziali donatori di sangue, organi e cornea
In Italia, nei soggetti che donano sangue, vengono effettuati sia i test sierologici per HIV, HBV, HCV, sifilide che il test per la ricerca contemporanea del genoma virale di HIV, HBV, HCV, mediante metodo molecolare (test NAT, acronimo di Nucleic Acid Test), obbligatorio per legge - DM2 novembre 2015.
L'Esame
Il virus dell’immunodeficienza umana (HIV) fu isolato nel 1983 all’Istituto Pasteur di Parigi dalla ricercatrice Françoise Barré-Sinoussi (Nobel per la medicina 2008), come probabile agente patogeno della sindrome di grave immunodeficienza acquisita (AIDS), descritta negli Stati Uniti nel giugno 1981 sul bollettino epidemiologico dei CDC di Atlanta (MMWR). Nel 1984 i CDC confermarono che il virus identificato dai ricercatori dell’Istituto Pasteur era l’agente eziologico dell’AIDS.
Il virus HIV appartiene alla famiglia Retroviridae, dotata di un meccanismo replicativo unico, che, grazie ad uno specifico enzima (trascrittasi inversa), rende i Retrovirus in grado di trasformare il proprio patrimonio genetico a RNA in un doppio filamento di DNA, che va ad integrarsi nel DNA della cellula infettata. Esistono due tipi di virus di HIV, il tipo 1 e il tipo 2. L’HIV-1 causa circa il 95% delle infezioni nel mondo, mentre l’HIV-2 ha una più alta prevalenza in alcune regioni dell’Africa occidentale, una minore trasmissibilità e progredisce verso l’AIDS più lentamente. HIV-1 presenta 3 gruppi principali: M è il più diffuso; O ed N sono di più recente identificazione e diffusi prevalentemente in Africa.
L’infezione da HIV nel 50-70% dei casi si manifesta, entro 1-3 settimane dal contagio, con sintomi simili all’influenza o alla mononucleosi (febbre, mal di gola, dolori articolari, astenia, rigonfiamento dei linfonodi, manifestazioni cutanee maculo papulari, ecc) che si risolvono spontaneamente dopo 1-2 settimane. Nel resto dei casi l’infezione può risultare asintomatica e mantenersi tale per molti anni. In entrambi i casi l’unico modo per determinare se l’infezione è avvenuta è quello di effettuare un test HIV.
Durante le prime settimane successive all'infezione, il virus infetta i linfociti T, in particolare i CD4, fondamentali nella risposta contro svariati tipi di agenti patogeni e oncogeni, ed inizia a replicare, dopo essersi integrato nel DNA delle cellule suscettibili, producendo numerose copie ed infettando altri linfociti T, che vengono uccisi. In tal modo il virus riduce progressivamente le difese immunitarie, inducendo pertanto patologie correlate all’immunodeficienza (cosiddette infezioni opportunistiche minori, provocate da agenti patogeni che normalmente non causano malattia nelle persone sane). Se l’infezione non viene trattata precocemente, lo stadio AIDS si raggiunge rapidamente quando il numero e la funzionalità dei linfociti T, ed in particolare dei CD4, si sono ridotti drasticamente (< 200 cellule/ml). L’AIDS è caratterizzato dalla comparsa di infezioni opportunistiche più gravi (polmonite da Pneumocystis carinii, toxoplasmosi cerebrale, tubercolosi, ecc) e neoplasie (sarcoma di Kaposi, linfomi, tumori genitali).
L’infezione da HIV è ormai considerata, nei paesi in cui la terapia è facilmente accessibile e gratuita, un’infezione cronica che permette progetti di vita personali, lavorativi e familiari, compreso quello di diventare genitori. Non esiste ancora una terapia in grado di eradicare l’infezione, che però, se diagnosticata precocemente, risponde molto bene alle terapie antiretrovirali (ART) oggi disponibili, assicurando un’aspettativa di vita paragonabile a quella della popolazione generale. La diagnosi precoce dell’infezione da HIV è importante perché:
- Permette di trattare tempestivamente l’infezione e quindi di ritardare di molti anni la progressione verso l’AIDS
- Permette all’individuo affetto di informare i partner e di mettere in atto tutti i comportamenti volti alla limitazione della probabilità di diffusione dell’infezione
- Permette alle donne in gravidanza di sottoporsi a terapie protettive nei confronti del nascituro che diminuiscono drasticamente le probabilità di infezione prenatale e perinatale
E’ importante sottolineare che, fra il momento del contagio e la possibilità di diagnosi, intercorre un intervallo di tempo, il cosiddetto “periodo finestra”, che comprende alcuni giorni di “eclissi”, in cui nessun test è in grado di rilevare l’infezione, stimato in media 10 giorni ed un periodo, che non ha una durata fissa, ma dipende dal tipo di test effettuato, dalle sue caratteristiche di sensibilità e specificità, dalla tipologia del rischio e dalla risposta della persona. Per primo compare nel circolo ematico l’acido nucleico virale (RNA), rilevabile circa 12 giorni dopo l’esposizione, mediante amplificazione genica, e pochi giorni dopo l'antigene p24, una proteina verso la quale vengono prodotti anticorpi, prima IgM e successivamente IgG, che diventano misurabili entro 2-8 settimane (a seconda del test utilizzato).

Nella maggior parte delle nuove infezioni (80% circa), i test combinati (noti anche come test di 4° e 5° generazione), che misurano oltre agli anticorpi anche l’antigene p24, diventano positivi entro 15-45 giorni (mediana 18 giorni), circa 15 giorni prima dei test di 3° generazione, che rilevano solo gli anticorpi. In caso di infezione recente, anche se la persona è ancora negativa al test per gli anticorpi, potrebbe essere in grado di trasmettere l’infezione, in quanto positiva sia per HIV RNA che per antigene p24. Per questo motivo è importante effettuare il test combinato dopo un comportamento a rischio. Quando poi comincia la produzione di anticorpi diretti contro il virus, si realizza una diminuzione dei livelli ematici sia di acido nucleico virale (dopo 20 giorni) che di antigene p24 (dopo 30 giorni circa).
Ogni Laboratorio dovrebbe conoscere nel dettaglio la performance dei test che utilizza ed informarne dettagliatamente sia i Medici richiedenti che l’utente, indicando anche eventualmente la necessità di effettuare ulteriori test di approfondimento.
Approfondimenti alla sezione “Come e perché”
Andamento dell’infezione, fattori di rischio e obiettivi di miglioramento dell’Organizzazione Mondiale della Sanità
Gli obiettivi dell'Agenda 2030 per lo sviluppo sostenibile (Sustainable Development Goals SDGs), adottata dall'assemblea generale delle Nazioni Unite nel 2015, ed in particolare l’obiettivo 3.3 “Salute e benessere per tutti”, comprendono la lotta alle malattie trasmissibili più diffuse e gravi: AIDS, epatite C, epatite B, tubercolosi e malaria.
I dati 2019 del Programma delle Nazioni Unite per l'HIV e l'AIDS (UNAIDS), indicano che nel mondo ci sono circa 38 milioni di soggetti (di cui 1,8 milioni sono bambini con meno di 15 anni) che vivono con infezione da HIV. In Italia i casi totali sono circa 150.000 (Notiziario ISS Volume 33 - Numero 11 -2020). Le nuove diagnosi di infezione per anno sono in calo del 23% dal 2010: 1,7 milioni nel mondo (erano 2,8 milioni nel 1998), 2531 in Italia (erano 4162 nel 2012). Principalmente per effetto delle terapie antiretrovirali combinate il numero di decessi per anno continua a diminuire (attualmente del 60% rispetto al picco del 2004): nel 2019 sono stati registrati 690.000 decessi nel mondo.
In Italia l’incidenza più alta si riscontra nelle fasce d’età più giovani: 25-29 anni e 30-39 anni. Le persone che hanno scoperto di essere HIV positive nel 2019 sono in gran parte uomini (80% dei casi). L’età mediana è di 40 anni per gli uomini e di 39 anni per le donne.
Nel 2019 la maggioranza delle nuove diagnosi di infezione da HIV è attribuibile a rapporti sessuali non protetti, che costituiscono l’84,5% di tutte le segnalazioni. Nel 2019, per la prima volta, la quota di nuove diagnosi HIV attribuibili a uomini che fanno sesso con uomini (MSM) è pari a quella ascrivibile ai rapporti eterosessuali. Sul totale degli uomini, il 53% delle nuove diagnosi è rappresentato da MSM (Notiziario ISS Volume 33 - Numero 11 -2020).
Sia in Europa che in Italia rimane il problema della falsa percezione del rischio e della tardiva rilevazione della positività al test, che contribuisce ad aumentare la trasmissione dell’infezione ed a ritardare l’inizio della terapia. Infatti in Italia nel 2019 più della metà delle persone con una nuova diagnosi da HIV è stata diagnosticata in fase avanzata di malattia (circa il 60% con numero di linfociti CD4 inferiore a 350 cell/mL e circa il 40% con un numero inferiore a 200 cell/mL). In Europa il 74% delle diagnosi di AIDS è stata fatta nei 3 mesi successivi alla diagnosi di infezione da HIV, quindi la diagnosi di sieropositività è stata fatta troppo tardivamente. Il report ECDC 2020 dimostra che in Europa solo 1 su 4 casi di AIDS si manifesta molto tempo dopo la diagnosi, indicando un insufficiente collegamento con la presa in carico, l’accesso al trattamento e il supporto all’aderenza alla terapia.
Si consideri che le persone che sono a conoscenza della propria positività, se assumono subito e regolarmente la terapia prescritta, raggiungono livelli di carica virale non rilevabile, potendo vivere tutta la vita senza sintomi e senza trasmettere l’infezione ai/alle loro partners.
Nel mondo, alla fine di giugno 2020, circa 26 milioni di persone con l’HIV hanno avuto accesso alle terapie antiretrovirali (ART). Nel 2019 circa l’85% delle donne in gravidanza ha avuto accesso a tali terapie per prevenire la trasmissione del virus al nascituro (in Africa occidentale e del sud tale trasmissione era stata ridotta al 9% circa nel 2018). La pandemia COVID19 ha causato grandi problemi anche in questo campo.
Gli obiettivi UNAIDS e WHO per il 2020 erano:
- il 90% delle persone con HIV dovranno essere diagnosticate: nel 2019 sono state diagnosticate l’81% delle persone positive,
- il 90% di quelle diagnosticate dovranno essere trattate: nel 2019 erano in terapia il 67% delle persone positive,
- il 90% di chi è in cura dovrà avere benefici terapeutici: nel 2019 erano in soppressione virologica (carica virale negativa) il 59% dei trattati.
Nonostante gli sforzi fatti negli anni precedenti, gli obiettivi 90-90-90 citati erano già in stallo prima della pandemia COVID, che nel 2020 ha aggravato di molto il problema. Pertanto, gli obiettivi stabiliti per il 2020 non sono stati raggiunti. Si è valutato che le morti AIDS correlate, dovute alla mancata terapia, raddoppieranno nel 2020 nell’Africa sub Sahariana.
WHO rileva che ci sono ancora troppe persone e popolazioni vulnerabili che vengono trascurate. Lo stigma e la discriminazione, insieme ad altre ineguaglianze ed esclusioni, continuano ad essere una barriera.
Per raggiungere gli obiettivi 90-90-90, evitare nuove infezioni e assicurare l’accesso al trattamento per tutti, al momento sono fondamentali la prevenzione (diffusione di informazioni chiare, basate su dati scientifici e comprensibili, counselling telefonico, help line, forum dedicati, ecc) e l’aumento della consapevolezza del rischio nella popolazione generale, così come l’offerta attiva del test soprattutto ai giovani, la facilitazione nell’accesso alle strutture e la precoce presa in carico dei soggetti HIV positivi.
Già nel 2010 WHO regione Europa aveva pubblicato il documento per il progressivo aumento dei test HIV e del counselling, come componente essenziale degli sforzi per ottenere l’accesso universale alla prevenzione, cura e supporto dell’infezione da HIV. Tale documento prestava particolare attenzione ai gruppi a maggior rischio e alla popolazione vulnerabile, in cui l’infezione è prevalentemente concentrata in Europa: uomini che fanno sesso con uomini (Europa occidentale), alcuni migranti, tossicodipendenti per via iniettiva (Europa Orientale), detenuti. L’offerta dei test deve prevedere il consenso informato, la confidenzialità del risultato, la gratuità. Nel 2015 WHO (Consolidated guidelines on HIV testing services) ha introdotto il termine “HIV testing services” (HTS) per descrivere tutti i servizi che devono essere forniti insieme al test: counselling pretest (informazioni sul test e significato del risultato, tempistica e tipologia del rischio) e post-test (modalità di prevenzione della trasmissione ad altri, comunicazione ai partner, avvio diretto ai centri per la terapia, ecc.). Il counselling è anche un componente essenziale delle strategie preventive per le Infezioni Sessualmente Trasmesse (IST), che possono portare alla riduzione dei partners sessuali, all’aumento dell’uso di molteplici mezzi di protezione, ecc. Il Centro Europeo per la Prevenzione e Controllo delle Malattie (ECDC) ha prodotto nel 2018 una Guida per l’approccio integrato ai test per HIV, epatite B e C. In Italia, la Conferenza Stato Regioni (GU 191 del 8.8.2011) e il Piano nazionale di interventi contro HIV e AIDS (PNAIDS) 2017-2019 hanno delineato il percorso per conseguire gli obiettivi indicati come prioritari dalle agenzie internazionali (ECDC, UNAIDS, WHO), prevedendo interventi di promozione del test HIV con acquisizione del consenso solo verbale (con accesso al test anche ai minori, con interventi normativi adeguati), potenziando a livello territoriale ambulatori/punti prelievo/centri IST per l’offerta del test anonimo e gratuito, senza necessità di prescrizione medica. Il test combinato in automazione è eseguibile in tutti i centri diagnostico-clinici Aids nel sito uniticontrolaids.it. Recentemente (17 marzo 2021) è stato emanato il decreto ministeriale “Misure urgenti per l'offerta anonima e gratuita di test rapidi HIV e per altre IST in ambito non sanitario alla popolazione durante l'emergenza COVID-19” (pubblicato sulla GU n.98 del 24-04-2021), allo scopo di aumentare e diversificare le occasioni/modalità di accesso al test, anche attraverso il coinvolgimento diretto nello screening e nella comunicazione del risultato da parte di operatori di associazioni anche non appartenenti alle professioni sanitarie, purchè debitamente formati.
Per maggiori dettagli riguardo segni, sintomi, rischi e trattamento, consultare nella sezione Patologie/Condizioni cliniche l'articolo HIV e AIDS su questo sito e sul sito del Ministero della Salute.
Come e Perchè
Si consideri che i test combinati per la ricerca degli anticorpi anti-HIV 1 e 2 e dell’antigene p24 utilizzati come screening per la diagnosi di infezione da HIV hanno oggi livelli molto alti di sensibilità e specificità rispetto ai test sierologici per altre malattie infettive ed hanno subito una grande evoluzione (dal 1987 al 2015), riducendo il periodo finestra a poche settimane ed aumentando la loro affidabilità.
Test di Screening e di conferma
Per lo screening dell’HIV sono disponibili differenti tipi di test, da utilizzare in diverse situazioni, ricapitolabili in: diagnosi precoce dopo una esposizione a rischio (con eventuale sintomatologia); sorveglianza di soggetti con comportamenti a rischio (popolazione chiave); sensibilizzazione alla esecuzione del test nei paesi industrializzati e non; come iniziativa di Sanità pubblica.
- Test combinati (o “Combo” o test per antigene e anticorpi IgG/IgM) su siero o plasma da prelievo di sangue venoso, effettuati dal Laboratorio clinico in automazione mediante metodo immunoenzimatico o chemiluminescente (EIA, ELISA, CLIA, CMIA, ECLIA, ELFA), sottoposti ad un rigoroso controllo di qualità, sia interno che esterno. Tali test combinati sono detti anche di 4° o di 5° generazione (rispetto ai test di 1° generazione del 1985 che rilevavano solo IgG) e permettono la ricerca contemporanea di anticorpi anti HIV1 e 2 (IgG e IgM) e di antigene p24 HIV-1, che compare in circolo prima degli anticorpi. Utilizzano come substrato per la reazione di ricerca degli anticorpi IgG e IgM antigeni purificati, ricombinanti o sintetici, e come substrato per la ricerca dell’antigene p24 anticorpi monoclonali anti HIV. I test di 4° generazione, in commercio dall’inizio degli anni 2000 (e raccomandati fin dal 2008 in sostituzione dei test di 3° generazione), in caso di positività non sono in grado di distinguere gli anticorpi dall’antigene p24 e quindi non distinguono fra infezione recente e infezione tardiva. La sensibilità è superiore al 99,5% e la specificità è 99,8%. L’aggiunta dell’antigene p24 riduce il periodo finestra a 15-45 giorni dal contagio. I test di 5° generazione invece possono riportare separatamente i tre risultati per: antigene p24 (con aumentata sensibilità rispetto ai test di 4°), anticorpo anti HIV-1 (gruppo M e O), anticorpo anti HIV-2. Sono disponibili dalla fine del 2015, con sensibilità 100% e specificità 99,8%. Anche con questo tipo di test, il periodo finestra per la positivizzazione è di 15-45 giorni, ma la capacità di rilevare l’antigene p24 è maggiore, quindi la diagnosi può essere più precoce. Non esistonofalsi negativie c’è una possibilità del 2 per mille di falsi positivi. WHO e CDC fin dal 2015 hanno raccomandato di utilizzare come primo test diagnostico un test di 4° generazione, che, in caso di positività, deve essere confermato con un test che utilizzi una metodologia diversa, per escludere i falsi positivi. Tutti i test combinati utilizzati in Italia sono approvati FDA. Nel caso in cui siano presenti fattori di rischio importanti, è opportuno, in caso di negatività, ricercare HIVRNA con metodi molecolari a circa 10-12 giorni dal rischio. In caso di positività è il laboratorio che effettua i test di approfondimento necessari (secondo prelievo, test di conferma alternativo, determinazione della carica virale, ecc) ed organizza l’accesso della persona direttamente ai Centri specialistici, per la presa in carico e l’avvio immediato della terapia.
- Test rapidi eseguiti su sangue capillare (ottenuto tramite puntura del dito), su apposito dispositivo monouso (strisce di nitrocellulosa o card) su cui viene deposta una goccia di sangue. Esistono in forma di Point of Care (POC), approvati da FDA fin dal 2002, a lettura strumentale, eseguiti gratuitamente presso strutture sia sanitarie che non, oppure acquistabili in Farmacia (Autotest rapido) ed eseguibili direttamente al proprio domicilio. Il metodo è immunocromatografico e il risultato a lettura visuale è disponibile in 15-20 minuti (molto simili al test di gravidanza). Questi test, nella maggior parte dei casi, sono ancora di 3° generazione, quindi in grado di rilevare solo gli anticorpi IgG e IgM e non l’antigene p24: pertanto hanno un periodo finestra di circa 30-90 giorni (mediana 22 giorni). La sensibilità è >99,5% e la specificità>99,5%, pari a 5 per mille falsi negativi e 5 per mille falsi positivi. In caso di positività, non permettono una diagnosi definitiva ed è sempre necessario eseguire un test di conferma di 4° o 5° generazione presso i Laboratori che forniscono anche il servizio di consulenza. I test rapidi rimangono utili per escludere il contagio in rapporti sessuali a basso rischio, che si sono realizzati almeno 90 giorni prima o nello screening di popolazioni a basso rischio. Invece, in caso di negatività, in presenza di un fattore di rischio importante, è consigliabile effettuare subito un test combinato. In generale, nelle infezioni precoci, i test combinati in automazione sono molto più sensibili e sicuri dei test rapidi. Recentemente sono disponibili in USA e in Europa test rapidi combinati, approvati FDA. Esistono anche test rapidi che rilevano anticorpi nella saliva con performance lievemente inferiori, in quanto gli anticorpi presenti nella saliva sono più scarsi rispetto al sangue. WHO raccomanda che gli autotest rapidi vengano offerti gratuitamente anche in contesti non sanitari, in occasione di campagne di promozione e all’interno di Associazioni ONG o ambulatori itineranti per soggetti ad alto rischio, in cui viene garantito il counselling da parte di personale addestrato. Anche in Italia è stato recentemente emanato (GU n.98 del 24-04-2021) un decreto ministeriale per effettuare test rapidi anonimi e gratuiti per HIV e altre IST in ambito non sanitario durante l'emergenza COVID-19.
- Test per la ricerca della concentrazione dell'antigene p24 che permette di rilevare le infezioni entro pochi giorni dal contagio (12-15), prima che vengano prodotti gli anticorpi anti-HIV. Il test può essere effettuato in laboratorio singolarmente (dopo un test combinato di 4° generazione) o all’interno di un test di 5° generazione. Il ritrovamento della p24 in assenza di anticorpi anti-HIV 1 e 2 è un marcatore di infezione recente.
- Western blot (WB): si tratta di un test di conferma di 1° generazione che permette il riconoscimento di anticorpi diretti verso singoli antigeni virali specifici per HIV-1 e/o HIV-2 (ottenuti dal virus cresciuto in coltura e sottoposto a lisi ad elettroforesi separativa), utilizzato per molti anni per confermare i test di 3° generazione, nonostante si ottenessero spesso risultati inconclusivi (cosiddetti indeterminati), che non permettevano una diagnosi definitiva. Fin dal 2014 i CDC di Atlanta hanno raccomandato di non utilizzarlo più per la conferma, bensì di sostituirlo con test combinati in automazione più affidabili ed in grado di differenziare fra HIV1 e 2, raccomandazione successivamente confermata da WHO. Ciò in quanto il WB è molto costoso, è eseguito solo in laboratori di riferimento, ha tempi di reazioni lunghi, richiede la lettura da parte di personale di laboratorio addestrato e i risultati indeterminati costringono alla ripetizione di un test combinato dopo altri 14 giorni, ritardando quindi la diagnosi di positività. Inoltre un test negativo, se il prelievo è stato effettuato pochi giorni dopo l’evento a rischio, non rilevando l’antigene p24, non garantisce in modo assoluto che una persona non sia stata infettata. I test combinati sopra indicati hanno periodi finestra più brevi, sono molto più rapidi, meno costosi ed usati in sequenza sono più efficaci per confermare la positività del primo test positivo. In Italia vengono ancora effettuati da Centri di Riferimento, soprattutto in caso di positività inattesa (senza fattori di rischio riportati), per valutare se l’infezione è recente.
- I test molecolari, denominati anche NAT (nucleic acid testing) o PCR (polymerase chain reaction) o RT-PCR (Reverse Transcriptase polymerase chain reaction) sono considerati test di conferma in caso di risultati discordanti dei test combinati e sono in grado di determinare, con un periodo finestra ridotto (intorno a 10-12 giorni), la presenza del virus HIV1, agendo attraverso l’amplificazione molecolare di quantità molto piccole di RNA di HIV. Questi test vengono impiegati solo per lo screening del sangue dei donatori di sangue e per la diagnosi nel neonato da madre sieropositiva per HIV, a cui passano gli anticorpi della madre durante la vita fetale. Non sono utilizzati come test diagnostici di screening, in quanto sono test molto più costosi e più laboriosi; devono essere eseguiti da personale specializzato. Inoltre, se non eseguiti accuratamente per prevenire contaminazioni, possono dare risultati falsamente positivi. Non si eseguono pertanto mai senza test combinati per la diagnosi di infezione.
E’ importante segnalare che, in presenza di una sospetta sindrome acuta retrovirale (febbre, spossatezza, sudori notturni, rigonfiamento dei linfonodi, mal di gola, eruzioni cutanee), che insorge tra i 4 giorni e le 3 settimane successive al contagio, è opportuno rivolgersi al proprio Medico curante oppure direttamente ad un Centro specialistico infettivologico per effettuare il test combinato, soprattutto se i sintomi sono insorti dopo un comportamento sessuale a rischio.
Comunque, dopo un rapporto occasionale non protetto, è sempre opportuno effettuare un test HIV. Se sono passati almeno 90 giorni sono indicati sia il prelievo venoso presso un laboratorio che il test rapido a casa: un risultato negativo esclude l’infezione. Se invece è passato circa 1 mese, solo un test combinato fornirà un esito definitivo, mentre il test rapido dovrà essere ripetuto a 90 giorni dal rapporto. In generale con i test di combinati la quasi totalità delle positivizzazioni si verifica entro un mese dall’esposizione. Il documento italiano di consenso del 2011 fissa a 3 mesi il tempo massimo del periodo finestra. È importante ricordare che, se è stata effettuata una profilassi post-esposizione, la comparsa di anticorpi può essere ritardata. Nel complesso, il set minimo di controlli post-esposizione dovrebbe comprendere prelievi a 0, 20-30 giorni e 3 mesi dopo l’esposizione.
Negli algoritmi diagnostici CDC e WHO sotto riportati sono presenti solo test di 4° o 5° generazione.
Diagnosi (algoritmi)
L’algoritmo classico del CDC del 2014 (modificato nel 2018) è a tre test (algoritmo 1).
Il primo test è combinato (almeno di 4° generazione). Se risulta negativo, in assenza di fattori di rischio, si esclude una infezione da HIV 1 e 2. Se il risultato è positivo, è necessaria l’esecuzione di un secondo test, differente dal precedente, dotato di maggior specificità, che distingue fra anticorpi anti HIV 1 e HIV 2 (generalmente di 5° generazione). Nel caso in cui i due test forniscano risultati discordanti, viene eseguito un terzo test che prevede la ricerca del materiale genetico virale (RNA). In caso di risultati positivi è necessario effettuare anche una valutazione clinica e di laboratorio con test addizionali (come la carica virale HIV-1, la conta dei linfociti CD4+, un test di resistenza ai farmaci ART, ecc) per studiare lo stato dell’infezione ed avere indicazioni circa la scelta del regime antiretrovirale iniziale.
É importante segnalare che, in presenza di una sospetta sindrome acuta retrovirale (febbre, spossatezza, sudori notturni, rigonfiamento dei linfonodi, mal di gola, eruzioni cutanee), che insorge tra i 4 giorni e le 3 settimane successive al contagio, è opportuno rivolgersi al proprio Medico curante oppure direttamente ad un Centro specialistico infettivologico per effettuare il test, soprattutto se i sintomi sono insorti dopo un comportamento sessuale a rischio.

WHO aveva suggerito dal 2014 per i paesi non industrializzati, un algoritmo a due test differenti in sequenza, inviando a strutture più attrezzate per la conferma con test molecolari.
Dal 2019 (Consolidates guidelines on HIV testing services for a changing epidemic policy) sta incoraggiando i Paesi non industrializzati ad alto impatto di infezione da HIV (>5%) e ricordando ai Paesi a basso impatto (<5%) di usare tre test consecutivi per confermare il risultato positivo del primo test. Anche WHO consiglia di non utilizzare più il Western blot come test di conferma e che due dei test abbiano almeno sensibilità ≥99% e specificità ≥98%. È importante che il primo test abbia la più alta sensibilità, perché impatta molto sul costo totale della strategia. In caso di positività è seguito da un secondo test di maggiore specificità. La strategia riportata permetterebbe di assicurare una diagnosi di infezione HIV accurata, anche con un continuo calo dei livelli di positività nazionali, soprattutto per i bambini con più di 18 mesi nei paesi a basso sviluppo economico, che quindi dovrebbero aver perso gli anticorpi anti HIV materni, per evitare una terapia ART che dovrà durare tutta la vita.
Algoritmo 2 WHO 2019 a 3 TEST per soggetti con più di 18 mesi di età (Consolidates guidelines on HIV testing services for a changing epidemic policy 2019)

WHO ha proposto anche una strategia semplificata, per aumentare l’accesso alle persone a rischio (figura con strategia alternativa con test rapido), per le sedi in cui non sono disponibili Laboratori: il primo test è un test rapido A0, self test, eseguito direttamente dall’utente a domicilio oppure POC, eseguito presso centri territoriali o organizzazioni non sanitarie. In caso di positività sarà sempre necessario rivolgersi a Centri di riferimento per la conferma con un 2° test di 4° generazione e l’eventuale esecuzione di altri test.
Algoritmo 3 WHO 2019 a 2 TEST: TEST RAPIDI O POC

Domande Frequenti
I sintomi iniziali dell’infezione da HIV possono mimare quelli dell’influenza o di altre infezioni virali. Includono febbre, mal di gola, spossatezza, dolori articolari, rigonfiamento dei linfonodi, eruzioni cutanee maculo papulari.
L’unico modo per confermare la presenza del virus è effettuare il test.
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Fonti
Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le Regioni e le province autonome di Trento e Bolzano (GU Serie Generale n.191 del 18-8-2011)
Piano Nazionale di interventi contro HIV e AIDS (PNAIDS) 2017-2019(Allegato al parere del Consiglio Superiore di Sanità del 7 dicembre 2016)
Notiziario dell’ISS (volume 33 - numero 11 2020) – Aggiornamento delle nuove diagnosi di infezione da HIV e dei casi di AIDS in Italia al 31 dicembre 2019” www.epicentro.iss.it/aids/notiziario-coa
Ministero della Salute www.salute.gov.it/portale/hiv/dettaglioFaqHIV.jsp?lingua=italiano&id=221
Documento di consenso sulle politiche di offerte e le modalità di esecuzione del test HIV in Italia www.salute.gov.it/imgs/C_17_pubblicazioni_1647_allegato.pdf
https://www.uniticontrolaids.it/aids-ist/test/dove.aspxLaboratori pubblici che effettuano il test HIV in modo anonimo e gratuito
www.uniticontrolaids.it/aids-ist FAQ HIV e AIDS
Linee Guida Italiane sull’utilizzo dei farmaci antiretrovirali e sulla gestione diagnostico-clinica delle persone con infezione da HIV-1 Luglio 2010 su https://www.simit.org/images/documenti/81-lineeguidahiv.pdf
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