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Uso appropriato dei Biomarcatori di Neoplasia

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Ultima Modifica: 14.01.2018.

Dal momento della loro introduzione nella pratica clinica, i biomarcatori tumorali sono stati per lungo tempo e troppo spesso prescritti ed interpretati in maniera inappropriata, cioè non tenendo in considerazione le reali informazioni che essi possono fornire sulla presenza o meno di un tumore o sulla sua progressione.

Il tema dell’appropriatezza prescrittiva, infatti, è diventato di importanza strategica in un’epoca, come quella che viviamo, caratterizzata dal contenimento dei costi per la spesa pubblica. Quando si parla di cancro e di pazienti con una aneoplasia è importante rispettare i criteri di appropriatezza prescrittiva per richiedere l'esame giusto, per il paziente giusto, al momento giusto tenendo sempre in considerazione le pesanti ricadute di un test inappropriato sia sul piano economico che, a livello di individuo, su quello emotivo e psicologico.

L’obiettivo principale di queste analisi è fornire informazioni utili ed efficaci per valutare la risposta al trattamento farmacologico e/o chirurgico e monitorare nel tempo la malattia, non certo per la diagnosi dei tumori o per lo screening di massa. Ad esempio, il PSA è uno dei test prescritti più spesso in maniera inappropriata. Il suo impiego clinico, infatti, non è legato allo screening di massa per carcinoma alla prostata, come spesso accade, ma piuttosto nel follow-up di pazienti che hanno già avuto una diagnosi e sono sottoposti a trattamento chirurgico o radiante. Inoltre, lo screening mediante dosaggio del PSA risulta inappropriato negli uomini di età maggiore ai 75 anni perché il suo incremento non avrebbe alcun impatto clinico.

Lo studio dei biomarcatori tumorali non è utile, quindi, per effettuare una diagnosi, a meno che non vengano considerati, solo in alcuni casi, come strumento utile nella diagnosi differenziale con forme benigne. A questo proposito, per esempio, la calcitonina può essere impiegata con buona sensibilità per diagnosticare il Carcinoma Midollare della Tiroide in pazienti con noduli tiroidei.

Considerazioni specifiche, inoltre, andrebbero riservate ai test molecolari, cioè a quegli esami finalizzati alla ricerca di specifiche mutazioninel DNA dell’individuo che possano avere un significato predittivo. È stato, infatti, documentato che il riscontro di alcune mutazioni può aumentare il rischio di incorrere in un tumore. È questo il caso dei geni BRCA1 e BRCA2 le cui mutazioni sono associate ad un maggiore rischio di carcinoma mammario. Anche in questo caso, va detto che la ricerca delle suddette mutazioni non deve essere applicata come screening di massa ma va considerata solo nelle famiglie ad alto rischio, cioè quelle in cui sono presenti altri casi di carcinoma mammario, specie in età giovanile. Non bisogna poi dimenticare la necessità che questo tipo di test sia accompagnato da un’adeguata consulenza genetica in modo da informare dettagliatamente il paziente sul concetto di “ereditarietà” e quello di “rischio” conferito dalla presenza della mutazione.

La Medicinadi Laboratorio ha un ruolo centrale, come disciplina clinica, necessaria per la risoluzione del problema clinico e, in particolare nel settore oncologico, svolge un ruolo di primaria importanza nella prognosi, nella guida e nel monitoraggio della terapia ma anche nella prevenzione grazie all’utilizzo di test molecolari rivolti alla valutazione del rischio ereditario. Tutto ciò, naturalmente, richiede cooperazione e condivisione con le altre Società Scientifiche, come accade oggi con AIOM, per la stesura di linee guida e di percorsi partecipati indirizzati a considerare la salute del cittadino come obiettivo principale.


Marcello Ciaccio, Università degli Studi di Palermo

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